PRENDI, LEGGI E PORTA VIA

58 libri di 58 autori che hanno donato le loro opere accompagnate da messaggi di incoraggiamento per i pazienti in lotta nel reparto di osteoncologia dell’Istituto Ortopedico Rizzoli.

Il progetto “Prendi, Leggi e Porta via” consiste nell’inserimento in corsia di libri che il paziente può consultare e, secondo i gusti, decidere di portare in stanza o a casa. A fine lettura, ogni lettore avrà la possibilità di mettersi in contatto con l’autore per ogni domanda o semplicemente per una chiacchierata. Il progetto nasce grazie alla collaborazione con il blog Amabili Letture che da tempo ci sostiene nelle nostre campagne di sensibilizzazione. Sappiamo che i pazienti oncologici vivono una situazione di grande fragilità emotiva e che il libro potrebbe non essere letto o il paziente potrebbe non avere il desiderio di approfondire oltre ma speriamo di portare un ulteriore stimolo, un’ulteriore possibilità di agganciarsi al qui e ora e di uscire anche solo per poco dai pensieri più cupi.

Il progetto è dedicato soprattutto agli adolescenti, anche se non manca qualche lettura per i più piccoli e ovviamente è fruibile anche dai pazienti più adulti. Con piacere vi presentiamo l’elenco dei titoli:

L’astronauta dal cuore di stagno – Massimo Algarotti

Il piccolo Dragosh e il grande aquilone – Carlo Picca

Il ragazzo delle api – Cristiano Pedrini

Il club delle ossessioni – Elisa Mura

La principessa scoreggiona – Laura Castellani

Mamma pasticciona – Laura Castellani

La fattoria della libertà – Laura Castellani

I doni del Tuath – Ingrid Rivi

Portami con te – Ingrid Rivi

Io e te prima di Natale – Ingrid Rivi

La mia anima letteraria – Gabriele Martis

Il tempo che mi serve – Margherita Meloni

Bimbaluna – Nadia Maletta

Le ali di Silvia – Mariadora Vizza

L’anarchia dei punti di vista – Massimo Algarotti

Il portatore – Simona Lapucci

Gli spettri del passato – Simona Lapucci

Semplicemente Gio – Erika Lenti

Anima e cuore – Simona La Corte

La mia vita durata 100 anni, scritta a 42, finita di scrivere a 43 – Federico Fabbri

Controluce – Rita Scarpelli

Maria per la libertà – Amalia Frontali

Le lettere mai scritte – Amalia Frontali

Il ciclo di Rexan – Maurizio Toscano

Legàmi – Ilaria Ferraro e Simona Di Iorio

New York 1941. Forse – Luca Giribone

Empatia – Iris Bonetti

Noi 2 per caso – Marta Arvati

Lento Inafferrabile – Marta Arvati

I guerrieri d’argento – Elvio Ravasio

Altèra – Elvio Ravasio

Ombre dal passato – Elvio Ravasio

La forza della gazzella – Carmen Vasquez Vigo e Alessandra Manfredi

Charlie e l’ocarina – Francesca Fialdini

L’inganno del cuore – Ledra

Una scrittrice in carriera – Ledra

Nel tunnel di Sarajevo – Giano Sirov

Marta e Kin, salvare la terra! – Nicola Bennati

Blue Room Hotel – Roberto Monti

Il viaggio più bello – Alex Bellini

Una nota nel cuore – Ilaria Mossa

La coscienza di Cain, Il fattore scatenante – Costance S.

La coscienza di Cain, Il patto – Costance S.

Le fantafiabe di Chiara – Chiara Romanello

Il bosco delle more di gelso – Filippo Mammoli

QUI GHIACCIOLI PER TUTTI

Ghiaccioli ed elettrodomestici vari al Rizzoli di Bologna.

Finalmente è arrivato in consegna un dono speciale: un freezer che verrà costantemente rifornito di ghiaccioli, grazie alla meravigliosa generosità dell’azienda Ghiaccioli Pinotto e vari altri elettrodomestici al cui acquisto ha contribuito il formidabile Lyons Club di Zola Predosa.

Il ghiaccio è di uso comune nelle infusioni dei chemioterapici ad alto dosaggio e aiuta a ridurre le mucositi generate dal farmaco. Con i ghiaccioli cercheremo di rendere più dolci e accettate le terapie per tutti, grandi e piccini.

Anche oggi la nostra goccia nell’oceano è stata portata!

Grazie di cuore.

OSSI DURI – La storia di Valentina

Mi chiamo Valentina, ho 45 anni e non mi sento tanto un osso duro.

Avevo 22 anni quando da un giorno all’altro, mi sono ritrovata dalle aule studio della facoltà di medicina che frequentavo alla fine del secondo anno, ad una stanza bianca del Rizzoli, pochi giorni dopo la morte del dott. Campanacci, quando il dolore per la sua scomparsa era evidente da ogni parola proferita da tutti quelli che lavoravano lì.

Una diagnosi importante, un osteosarcoma. Ne sapevo abbastanza per capire che era grave, non abbastanza per capire cosa mi aspettava.

Gavina, 27 anni, una compagna di stanza che mi ha accolta, la mia roccia, quella che mi ha dato la forza di capire e affrontare a muso duro.

Rita, 15 anni, l’altra mia compagna di stanza con cui ho condiviso ansie e piccole gioie, con cui ho imparato ad ironizzare per andare avanti.

Lejla, la ragazzina quattordicenne adorabile, dolcissima che veniva dalla Jugoslavia, provata dalla guerra, che iniziava a parlare in italiano e a cui ho voluto subito un bene infinito, senza neanche capire bene cosa dicesse perché ancora non parlava benissimo la nostra lingua.

Giusy. Non l’ho più sentita dopo il ricovero ma ho saputo, anni più tardi, che non ce l’aveva fatta: aveva solo 13 anni quando è piombata nella nostra stanza con tutto il suo pianto, la sua disperazione e il suo rumore.

Oggi posso dire che comunque andranno a finire le cose, sono passati oltre 22 anni dalla diagnosi.

In ogni caso ho vinto ma non mi sento un eroe anzi, la mia sopravvivenza non è la mia vittoria, è la vittoria della scienza, di tutti quelli che prima ancora che arrivassi io hanno studiato una cura, per il dott. Donati che mi ha operata, per chi mi ha avuta in cura, ma di questa vittoria io non ho alcun merito: ho lasciato solo che la battaglia si combattesse su di me.

Vorrei dire che ho il merito, invece, di non aver lasciato spazio alla malattia di prendersi la mia vita e la mia speranza per il futuro ma non ho merito neanche in questo.

La forza con cui ho affrontato la brutta notizia l’ho presa da Gavina, io non l’avrei avuta.

Molti sanno che ho affrontato la chemioterapia coraggiosamente, senza lamentarmi troppo, ma pochi sanno che ho iniziato le cure diverse ore più tardi del previsto, perché volevo firmare il rifiuto e le dimissioni perché temevo di più gli effetti collaterali della mia malattia.

Ci sono volute tante e tante parole di medici ed infermieri PER convincermi a non lasciarmi andare ed oggi so che hanno fatto per me molto di più di quanto dovevano.

Molti sanno che sono stata in gamba perché anche durante la chemio ho continuato a studiare e l’esame di biochimica 2 l’ho addirittura sostenuto in reparto ed altri quattro esami durante la chemio, chiedendo alla commissione di raggiungermi, visto che io non potevo recarmi all’università.

Pochi sanno che volevo mollare gli studi, che di medicina, di malattie, sale operatorie e cattivi odori non ne volevo sapere più niente. Ci sono volute tante insistenze da parte dei miei genitori a non mollare, a non prendere decisioni affrettate in quel momento e il dott. Ferrari che fermò il giro visite, vedendomi piangere in panico pre-esame, per incoraggiarmi.

Le sue parole hanno risuonato, da quel giorno, il minuto prima di ogni esame che ho sostenuto.

La mano di un’altra dottoressa, credo la dottoressa Palmerini, forse era ancora una studentessa all’epoca non ricordo, che dopo il trenta e lode accarezzò la mia testa pelata, mi ha accompagnata dopo ogni successo, l’ho risentita.

Non si combatte da soli, io non ci sarei mai riuscita: è una battaglia che si combatte insieme. E’ complicato spiegarlo, niente avrei potuto senza la mia famiglia, i miei amici ed i nuovi conosciuti in reparto.

Oggi ho una famiglia, nata da una idea folle: pochi giorni dopo la fine della chemioterapia ho conosciuto Giorgio e ci siamo innamorati quando il futuro era scandito da tac ed esami di controllo.

Lui folle come me a sognare un futuro incerto ma insieme. Nostra figlia oggi ha 10 anni ed è una freccia velocissima lanciata nel futuro.

OSSI DURI – La storia di Serena

Mi chiamo Serena. Un giorno una persona mi disse: “non potevi avere nome più azzeccato!”

Per me fu il complimento più bello da ricevere. 

Sono nata nel pieno dell’inverno del 1988, il 12 gennaio. Io amo l’inverno.

Figlia unica, la più piccola, l’ultima arrivata in una famiglia bella numerosa, mamma, papà, nonni, zii, zie, cugine come sorelle. Diciamo una tribù le cui esistenze sono sempre e da sempre intrecciate le une alle altre. La classica famiglia che si collocherebbe al sud, ma in realtà è ligure DOC.

Nel 1991 l’intuito infallibile della mamma avvertì che qualcosa non la convinceva. Mi portò dal pediatra per un banale motivo di cui nemmeno conosco i dettagli e nel mentre, quasi in imbarazzo perché si sa le mamme sono sempre troppo apprensive, fece notare al pediatra che lamentavo un dolore al ginocchio destro e le sembrava che zoppicasse leggermente.

Avevo 3 anni. A 3 anni si corre e si cade, ci si arrampica e si cade, si salta e si cade. Insomma, le ginocchia sbucciate sono la normalità!

Ma il mio pediatra, non prese la mia mamma per una mamma “troppo apprensiva” e mi mandò subito uscita di lì all’ospedale a fare una radiografia.

Fatta la radiografia, il medico di turno stava guardando le lastre e nel mentre scriveva il referto. Stava scrivendo che la radiografia era pulita, non c’era nulla da preoccuparsi. Proprio in quel momento passò di lì il mio angelo custode, il Dottor Iacovacci, ortopedico all’Ospedale Valloria di Savona. Stava andando a casa dopo aver smontato il turno. Gli cadde l’occhio sulla mia radiografia appesa, si avvicinò e lì in quel momento lui lo vide e mi salvò la vita.

Osteosarcoma al femore distale destro.

Uscì lui, ormai in borghese, a parlare con i miei genitori. Si chiamano Franco e Anna, a quell’epoca avevano 31 e 29 anni.

Ci mandò immediatamente al Rizzoli, incontrarono subito il Professor Campanacci. Termini medici, percentuali, numeri, parole difficile da sentirsi dire, decisioni da prendere ancora più difficili. I miei genitori, i genitori sono i veri eroi nelle storie come la mia.

Mi sto dilungando parecchio chiedo scusa, ma credo che in effetti sia la prima volta che scrivo questa storia.

Feci la chemioterapia al Gaslini, vivendo a Celle Ligure. Il Rizzoli trovò la cosa più adeguata.

Nel frattempo, i miei genitori dovettero “scegliere” il tipo di operazione da farmi fare. Le opzioni erano due, non molte, ma già una di troppo per due giovani genitori che devono decidere per la vita della propria figlia ormai diventata quattrenne.

Amputazione totale o Giroplastica.

Che nome strano Giroplastica!

Era un intervento relativamente nuovo che mi avrebbe permesso di mantenere una mia articolazione modificandone, diciamo così, la morfologia. Impattante alla vista ma i medici sostenevano “tutta un’altra cosa” dal punto di vista funzionale.

I miei genitori incontrarono altri genitori con i figli che avevano subito questo intervento. E così decisero. Il 4 febbraio 1992 mi fecero l’intervento di Giroplastica. Non sto a spiegare le caratteristiche molto “originali” di questo intervento, ma chi vuole con una ricerca su Google trova tutto.

La storia va avanti, tra viaggi in ospedale, visite, controlli, io che cresco, le paure dei miei. E a mano a mano che gli anni passavano ciascuna di queste cose andava ad affievolirsi.

Sono guarita.

Oggi ho 34 anni, ne sono passati ben 30 da allora. Sono sposata con Fabio e abbiamo due gioielli che si chiamano Emilia e Giacomo di 6 e 4 anni. Ho il mio lavoro e conduco una vita totalmente normale.

In queste righe ho raccontato il dettaglio del mio percorso “clinico”, ma vorrei dedicare ancora qualche riga a descrivere tutto il contorno. La mia famiglia, in senso lato, l’enorme supporto che hanno dato ai miei genitori prima e a me dopo e insieme a loro anche gli amici. Insomma, io ho avuto la fortuna di avere intorno a me sincerità, verità e intelligenza. Sono sempre stata trattata alla pari degli altri, mi è sempre stato insegnata ad essere grata e fiera per la mia vita e mi è stata trasmessa, non a parole ma a fatti, la naturalezza di accettare il mio corpo così com’è.

Il giorno del mio matrimonio, in macchina verso la chiesa c’eravamo io mio papà e mio zio, il mio secondo padre. Mio zio in quel momento mi disse: “ti chiedo solo di avere sempre, nella vita, la stessa grinta che hai sempre dimostrato sin da quando eri piccola”. Ora mio zio non c’è più, in sella alla sua bicicletta ha pedalato verso il cielo, è stato uno dei miei tifosi più grandi, vorrei dedicare a lui questa mia testimonianza.

OSSI DURI – La storia di Giulia

Mi chiamo Giulia Domati e ho 46 anni.

Nell’estate del 1991 avevo spesso un fastidioso dolore al ginocchio, soprattutto di notte, a letto, non sotto sforzo. Ricordo che mi capitò un giorno di vedere un film in cui un ragazzo scopriva di avere un tumore e gli veniva amputata una gamba. Da lì mi convinsi di avere un tumore alle ossa. Sembra inverosimile ma fu così.

A settembre ripresi la scuola, dovevo iniziare la prima liceo con nuove materie e nuovi professori, ma per me non era un problema: ho sempre adorato studiare e andare a scuola. Il dolore però non passava, anzi aumentava e a un certo punto il mio ginocchio era diventato molto gonfio e dolorante.

A ottobre la prima diagnosi: micro frattura che poteva essere causata da una “ciste”. Da lì l’inizio dell’incubo: gli accertamenti rivelarono un osteosarcoma maligno. Fui ricoverata al Rizzoli a novembre: non avevo ancora 17 anni e mi sentivo immortale.

Il primo giorno di ospedale il mio unico pensiero era: non voglio rimanere qui da sola, ho bisogno della mia mamma.

La seconda sera ci portarono a vedere il reparto di chemioterapia e incontrai tanti ragazzi in carrozzina, senza capelli.

La notte dormii abbracciata a mia mamma pensando: devo essere forte perché da domani dovrò iniziare questo percorso. All’inizio non riuscivo a comprendere quello che mi stava succedendo e mi sembrava di vivere la vita di un’altra persona. Poi ci feci l’abitudine, strinsi tante amicizie e trovai dentro di me una forza che non credevo di avere.

I miei genitori non mi hanno mai fatto capire la gravità della malattia che stavo affrontando, facendomi credere che le percentuali di guarigione fossero altissime. Non era così, anche se nel mio caso tutto è sempre andato per il meglio: fortunatamente il mio corpo ha reagito al meglio alla terapia e già dopo 2 cicli di chemio la necrosi era del 100%.

Insomma sono stata fortunata. Fortunata? Si, fortunata, perché il 50% dei bambini e dei ragazzi che si sono ammalati come me non ce l’hanno fatta. E allora la domanda che mi assilla da 30 anni è: perché non è capitato a me? Non riesco a darmi una risposta e forse solo ora che sono mamma e adulta capisco il dolore e la disperazione che hanno provato i miei genitori e soprattutto il rischio che ho corso.

Lo scorso anno, in piena pandemia, ho cominciato a stare male: stanchezza, affanno, crisi respiratorie. A un certo punto mi ero convinta di avere il Covid. In realtà ho scoperto che, anche dopo 30 anni, la chemioterapia mi aveva procurato una cardiomiopatia dilatativa grave che mi ha portato a un passo dalla morte. In quel momento, ancora una volta, ho dovuto trovare in me la forza per affrontare una malattia, soprattutto per i miei figli, con la necessità di assumere sulle mie spalle tutto il dolore e la preoccupazione che 30 anni fa i miei genitori si erano accollati per proteggermi dalla verità.

Passata questa nuova tempesta, oggi posso dire più che mai di essere fortunata, perché sono viva e ho avuto due figli meravigliosi. Spesso mi chiedo: perché questa terribile malattia mi ha risparmiato? La risposta è: non lo so. Cosa ho fatto per meritarmi questa benedizione? Non lo so, ma, se la vita è un dono, per me, che sono rinata due volte, lo è ancora di più e quindi devo mettere a frutto tutte le mie capacità, per cercare di godere di questo dono che mi è stato dato tre volte.

Dopo aver conosciuto Sabrina e l’associazione Agito, ho deciso di scrivere questa testimonianza, perché spero che possa aiutare tutte le persone che ogni giorno combattono contro il cancro, dando loro la speranza e la forza per andare avanti.

OSSI DURI – La storia di Mascia

Mi chiamo Mascia e ho deciso di raccontare la mia storia sperando di dare sostegno alle persone che oggi stanno affrontando lo stesso calvario che ho vissuto io tanti anni fa.

Avevo 14 anni, quando nell’ottobre 1987 notai un bozzo sulla tibia sinistra.

Dopo le prime visite, mi dissero che poteva trattarsi di una malformazione ossea, di stare tranquilla e che dopo Natale si sarebbe deciso cosa fare.

Trascorse le feste, tornai al Centro Ortopedico di Cagliari e decisero di ricoverarmi presso l’Ospedale Marino. Iniziai a fare tac, risonanze, scintigrafie. Non sapevo molto ma notai che i miei genitori erano diversi: i loro occhi si erano spenti.

Un giorno sentii mio padre litigare con il Primario: “Voglio portare visa mia figlia!”.

Così, ignara di tutto, fui trasferita da Cagliari a Milano. Mi ritrovai al “Centro per la cura dei tumori” a fare delle visite mediche con Umberto Veronesi, nonostante l’osteosarcoma non fosse il suo campo. Mi dissero che si trattava di semplici visite ma io, ormai, avevo capito che c’era qualcosa di più.

Nell’aprile 1988 fui ricoverata in Pediatria. Vidi tanti bimbi amputati, senza capelli, e capii che non avevo una semplice malformazione. Facevo domande ma le risposte erano vaghe. Iniziai cicli pesantissimi di chemioterapia, 24 ore su 24, per 5 giorni consecutivi, 2 giorni di lavaggi, poi di nuovo. 7 cicli così, ognuno durava poco più di un mese, uno dei farmaci più distruttivi era la “Vincristina”.

Ero a Milano con mia madre, non vedevo da mesi il resto della mia famiglia. Ad un certo punto, interruppero le cure per un blocco renale, non avevo più piastrine. Camera sterile, una volta stabilizzata mi fecero finalmente tornare a casa per dieci giorni ma ebbi delle complicazioni. Quando tornai a Milano ripresero con la chemioterapia. Ormai ero la mascotte, tutti i medici, infermiere mi volevano un bene immenso. Andavo a scuola: il reparto per noi bambini era piccolo ma c’era la sala giochi e la scuola, insomma era diverso dagli altri ospedali, ma poi dovetti cambiare.

All’Ospedale “Gaetano Pini” mi fecero un trapianto osseo della tibia sinistra, poi ancora cicli di chemioterapia. Ho visto tante cose che non scorderò mai. Porto dentro di me il ricordo dei bambini che ho conosciuto ma che purtroppo non hanno vinto questa guerra. Ricordo Valerio, Cinzia, Laura, Patrizia, Davide, Paolo, Nazareno e tanti altri.

Mi dissero, dopo diversi anni, che non avrei potuto avere figli per via delle cure devastanti. Per dieci anni sono stata sotto controllo presso il “Gaetano Pini”.

Sono passati 33 anni da allora, ho avuto una bambina che oggi ha 11 anni.

La chemioterapia ha devastato il mio sistema immunitario, con non poche conseguenze ma ci “VIVO”: faccio ancora i miei controlli e sento ancora oggi la pediatra che mi curò.

Non dimenticherò mai i miei “amichetti” e forse la cosa che mi devasta di più oggi, è ciò che ho visto nel reparto di pediatria oncologica per anni ma cerco di essere una roccia anche per loro.

P. S. Mio padre litigò con il primario in Sardegna perché gli disse: “Non permetto che la ragazza venga portata via da qui. Ha pochi mesi di vita. Butterebbe via solo soldi nelle visite a Milano ed accorcerebbe il suo periodo di vita per via dello stress”.

DA DOMANI CI PENSIAMO NOI

Durante le feste in tutti gli ospedali in cui sono ricoverati bambini e ragazzi arrivano moltissimi doni. Arrivano dalle associazioni, arrivano da circoli, arrivano dalle aziende, arrivano per iniziativa di privati 🎁🎁🎁

Durante le feste tutti si ricordano dei bambini ricoverati e i doni che arrivano sono una manna per chi è costretto a letto ad affrontare una malattia invece di trovarsi con gli amici a tirare palle di neve (quando c’è) o a fare qualsiasi cosa sia pertinente alla loro meravigliosa età. 🧹🧹🧹

L’Epifania che le feste si porta via segna il momento in cui i riflettori si spengono, ma i ragazzi continuano le loro terapie, si avvicendano nelle camerette…chi entra in ospedale ora magari a Natale non c’era e viceversa.

Quindi? 🤔

Da domani ci pensiamo noi! 😎😊

Noi che già da metà Dicembre con la caposala ci accordiamo per non portare più nulla perché ora arrivano gli altri doni Noi che iniziamo la raccolta, perché è sotto Natale che facciamo bottino, e immagazziniamo tutto come piccole formichine per i tempi di magra

Noi che così facendo rinunciamo a qualche bella foto che fa sempre comodo per avere un po’ di pubblicità e qualche donazione, perché oltre ai regali c’è altro da fare

Noi che portiamo i regali per il dopo intervento, per i momenti speciali o i momenti difficili, i doni per giocare in ospedale che ora nemmeno si possono condividere i giochi della saletta, i doni per ricordare ad una ragazza che può prendersi cura con un po’ di fard, i doni come messaggio di incoraggiamento anche per i più grandini, che l’adolescenza è un periodo già abbastanza difficile di suo.

Grazie a chi ci ha sostenuto in questa raccolta che quest’anno è stata STREPITOSA.Grazie a chi ha portato i regali in ospedale in questo periodo consentendo a noi di creare la riserva. Grazie a chi ci dà fiducia 🙏

Le liste giochi e libri restano aperte tutto l’anno e se qualche articolo desiderato andrà in esaurimento non esiteremo a fare un appello mirato 🧡

OSSI DURI – La storia di Serena

Ciao, mi chiamo Serena e ho 45 anni.

La mia storia comincia nel lontano 1995, quando inizio ad accusare un lieve dolore al ginocchio seguito da un piccolo rigonfiamento.
Inizialmente non faccio caso a questo fastidio ma dopo qualche mese, faccio un’ecografia e da lì comincia il mio “cammino”.

Al San Matteo di Pavia mi eseguono una biopsia: esito tumore maligno di 3° grado al femore destro.
Cominciano a parlarmi del Rizzoli di Bologna, fino a quel giorno per me, posto completamente sconosciuto. La prima persona che incontro è il mio caro Dott. Bacci.
Mi parla, mi consola, mi spiega della terapia, della perdita dei capelli, del cambiamento del mio corpo. Lui parlava ma io facevo fatica ad ascoltarlo. In quel momento avevo solo voglia di scappare, di svegliarmi da quel bruttissimo incubo.

Cominciano i miei due mesi di chemioterapia prima dell’intervento e il 23 giugno la mia prima rinascita con l’asportazione del ginocchio e del femore sostituiti da un impianto di protesi interna. Poi, ancora dieci mesi di chemioterapia.

La mia vita passa su una sedia a rotelle i primi mesi, poi le stampelle… Quanti chilometri ho fatto con le mie quattro gambe!
Ricordo che quando mi sono svegliata, dopo sei ore di intervento, la prima cosa che ho fatto è stato guardare sotto il lenzuolo per vedere se avevo ancora la mia gamba… Per fortuna era lì, tutta fasciata, gonfia ma era lì.

Ho ricordi sbiaditi di quel giorno, misti a paura, felicità e rabbia… Rabbia perché a 18 anni mi sono ritrovata a lottare contro qualcosa più grande di me.

Alla fine ho VINTO IO. Ho vinto contro quel maledetto mostro.

Ora sono sposata e mamma di due bellissimi bambini e posso dire che “grazie” a questa esperienza ho conosciuto persone meravigliose, infermieri, dottori, compagni di viaggio… Persone che porterò sempre nel cuore, perché il Rizzoli resterà sempre una parte di me.

Serena

OSSI DURI – La storia di Salvatore

Ciao a tutti!
Mi chiamo Salvatore Cardaropoli e ho deciso di raccontarmi anche io per la rubrica di Agito.

La mia storia inizia il 6 gennaio 1996: avevo 12 anni quando mi venne diagnosticato il sarcoma di Ewing. Sono stato operato al femore destro presso l’istituto Rizzoli di Bologna dall’equipe composta dal Prof. Campanacci, Prof. Mercuri e Prof. Manfrini.
Durante il mio calvario, ho subito per ben due volte la rottura della placca che mi era stata inserita.
All’epoca ero testardo e ascoltavo poco i consigli dei medici.

Crescendo, ho capito che dovevo stare più attento e adottare delle precauzioni.

A vent’anni dalla guarigione, stavo bene, godevo di ottima salute, camminavo, correvo, giocavo e saltavo.
Mi sentivo una persona normale e di sana costituzione, così decisi di correggere il dislivello posturale che avevo attraverso l’allungamento del femore.
L’intervento andò bene e mi feci asportare la placca.
Purtroppo, dopo quattro mesi, ho rotto il femore e di conseguenza ho affrontato un altro intervento: la placca che era stata rimossa doveva essere inserita di nuovo.

Tutto questo accadeva nel gennaio 2018.

Oggi sto bene e ad agosto di quest’anno mi sono sposato.

Il mio percorso è stato terribile, ho sofferto tanto e provato emozioni indescrivibili, ma non mi sono mai abbattuto, ho sempre lottato con coraggio e fede.
Raccontare è molto facile ma vivere questa malattia in prima persona è estremamente difficile.
Ringrazierò sempre la mia famiglia, mia moglie e tutte le persone che mi sono state vicino.

A tutti voi, invece, dico: nella vita non bisogna mollare mai!

Con affetto, Salvatore.

OSSI DURI – La storia di Alessandra

Mi chiamo Alessandra Cibelli.

Sono nata a Salerno nel 1981 e all’età di 13 anni mi è stato diagnosticato il sarcoma di Ewing.

Mi piacerebbe svegliarmi un giorno e poter dire che è stato solo un brutto sogno: questo pensavo nel novembre del 1994.

Era il 5 agosto dello stesso anno, i miei genitori stavano traslocando e ho pensato di rendermi utile. Mentre scendevo le scale con un porta-telefono dell’epoca, sono inciampata e ho preso una storta. Nulla di grave, mi faceva male il polpaccio e a casa mi curarono con creme e antinfiammatori. Dopo un mese però, la gamba era ancora dolorante, il muscolo gonfio ed io ero febbricitante.

A quel punto, mio padre decise di portarmi al pronto soccorso dell’ospedale di Salerno. I medici sottovalutarono i sintomi ma lui si impose ed ottenne che mi venisse fatta una radiografia alla gamba sinistra.

Me lo ricordo quel farfugliare, quel bisbigliare tra i dottori dall’aria un po’ smarrita: “Dobbiamo far vedere le radiografie al primario”, ci dissero.

Dopo svariati consulti, il primario chiamò in disparte mio padre e mia nonna Maria, sempre onnipresente: “Signor Cibelli, sua figlia deve sottoporsi all’ago aspirato e alla decorticazione dell’osso perone”.

La diagnosi fu inclemente: avevo un tumore maligno chiamato sarcoma di Ewing.

Il ricovero all’istituto Rizzoli fu immediato. Ricordo che ci accompagnò un caro amico di papà.

Sono stata operata il 2 febbraio del 1995 dopo aver affrontato tre cicli di chemioterapia. Durante il percorso di cura, mi piaceva disegnare animali immaginari capaci di volare senza ali e attraversare oceani colorati con i gessetti.

Dopo cinque anni di follow up, seguendo il protocollo, la malattia è sparita.

Oggi ho 40 anni e ne sono passati 27 dalla mia guarigione. Sono sposata con Vincenzo e ho tre figli meravigliosi che adoro e che mi adorano: Eleonora, Giulia e Giovanni.

Sicuramente la bravura e la professionalità di professori, medici e infermieri dell’istituto ortopedico Rizzoli, dopo avermi operata e curata, mi hanno portata a raggiungere l’obiettivo: salvare la mia vita da una infausta diagnosi che mi aveva dato ben poche speranze.

Un grazie particolare ai miei genitori e a nonna Maria che è volata in cielo quattro anni fa. Loro mi hanno dato la forza per attraversare il campo della battaglia ed uscire vincitrice dalla guerra.

Sono davvero contenta di poter manifestare tutto la mia gioia e far capire che oggi non è più come ieri. Dal sarcoma si guarisce ed io ne sono l’esempio.

Sono sicura che anche voi vincerete la vostra guerra come tanti altri bambini e bambine che stanno attraversando questo incubo.

Questa malattia oscura l’adolescenza ma non disperate, avrete la possibilità di raccontare la vostra storia perché riuscirete a guarire: vi penso spesso e prego sempre per voi.

Vi voglio bene, Alessandra.

[Sono un Osso Duro perché sono stata ricoverata al Rizzoli nel novembre 1994, operata nel febbraio 1995 e guarita definitivamente. Grazie al Prof. Campanacci, al Dottor Bacci, al Prof. Mercuri, al Dottor Donati, al Dottor Ferrara, al Dottor Biagini e al Dottor Manfrini]

Alessandra Cibelli