OSSI DURI - La storia di Serena

Mi chiamo Serena. Un giorno una persona mi disse: “non potevi avere nome più azzeccato!”

Per me fu il complimento più bello da ricevere. 

Sono nata nel pieno dell’inverno del 1988, il 12 gennaio. Io amo l’inverno.

Figlia unica, la più piccola, l’ultima arrivata in una famiglia bella numerosa, mamma, papà, nonni, zii, zie, cugine come sorelle. Diciamo una tribù le cui esistenze sono sempre e da sempre intrecciate le une alle altre. La classica famiglia che si collocherebbe al sud, ma in realtà è ligure DOC.

Nel 1991 l’intuito infallibile della mamma avvertì che qualcosa non la convinceva. Mi portò dal pediatra per un banale motivo di cui nemmeno conosco i dettagli e nel mentre, quasi in imbarazzo perché si sa le mamme sono sempre troppo apprensive, fece notare al pediatra che lamentavo un dolore al ginocchio destro e le sembrava che zoppicasse leggermente.

Avevo 3 anni. A 3 anni si corre e si cade, ci si arrampica e si cade, si salta e si cade. Insomma, le ginocchia sbucciate sono la normalità!

Ma il mio pediatra, non prese la mia mamma per una mamma “troppo apprensiva” e mi mandò subito uscita di lì all’ospedale a fare una radiografia.

Fatta la radiografia, il medico di turno stava guardando le lastre e nel mentre scriveva il referto. Stava scrivendo che la radiografia era pulita, non c’era nulla da preoccuparsi. Proprio in quel momento passò di lì il mio angelo custode, il Dottor Iacovacci, ortopedico all’Ospedale Valloria di Savona. Stava andando a casa dopo aver smontato il turno. Gli cadde l’occhio sulla mia radiografia appesa, si avvicinò e lì in quel momento lui lo vide e mi salvò la vita.

Osteosarcoma al femore distale destro.

Uscì lui, ormai in borghese, a parlare con i miei genitori. Si chiamano Franco e Anna, a quell’epoca avevano 31 e 29 anni.

Ci mandò immediatamente al Rizzoli, incontrarono subito il Professor Campanacci. Termini medici, percentuali, numeri, parole difficile da sentirsi dire, decisioni da prendere ancora più difficili. I miei genitori, i genitori sono i veri eroi nelle storie come la mia.

Mi sto dilungando parecchio chiedo scusa, ma credo che in effetti sia la prima volta che scrivo questa storia.

Feci la chemioterapia al Gaslini, vivendo a Celle Ligure. Il Rizzoli trovò la cosa più adeguata.

Nel frattempo, i miei genitori dovettero “scegliere” il tipo di operazione da farmi fare. Le opzioni erano due, non molte, ma già una di troppo per due giovani genitori che devono decidere per la vita della propria figlia ormai diventata quattrenne.

Amputazione totale o Giroplastica.

Che nome strano Giroplastica!

Era un intervento relativamente nuovo che mi avrebbe permesso di mantenere una mia articolazione modificandone, diciamo così, la morfologia. Impattante alla vista ma i medici sostenevano “tutta un’altra cosa” dal punto di vista funzionale.

I miei genitori incontrarono altri genitori con i figli che avevano subito questo intervento. E così decisero. Il 4 febbraio 1992 mi fecero l’intervento di Giroplastica. Non sto a spiegare le caratteristiche molto “originali” di questo intervento, ma chi vuole con una ricerca su Google trova tutto.

La storia va avanti, tra viaggi in ospedale, visite, controlli, io che cresco, le paure dei miei. E a mano a mano che gli anni passavano ciascuna di queste cose andava ad affievolirsi.

Sono guarita.

Oggi ho 34 anni, ne sono passati ben 30 da allora. Sono sposata con Fabio e abbiamo due gioielli che si chiamano Emilia e Giacomo di 6 e 4 anni. Ho il mio lavoro e conduco una vita totalmente normale.

In queste righe ho raccontato il dettaglio del mio percorso “clinico”, ma vorrei dedicare ancora qualche riga a descrivere tutto il contorno. La mia famiglia, in senso lato, l’enorme supporto che hanno dato ai miei genitori prima e a me dopo e insieme a loro anche gli amici. Insomma, io ho avuto la fortuna di avere intorno a me sincerità, verità e intelligenza. Sono sempre stata trattata alla pari degli altri, mi è sempre stato insegnata ad essere grata e fiera per la mia vita e mi è stata trasmessa, non a parole ma a fatti, la naturalezza di accettare il mio corpo così com’è.

Il giorno del mio matrimonio, in macchina verso la chiesa c’eravamo io mio papà e mio zio, il mio secondo padre. Mio zio in quel momento mi disse: “ti chiedo solo di avere sempre, nella vita, la stessa grinta che hai sempre dimostrato sin da quando eri piccola”. Ora mio zio non c’è più, in sella alla sua bicicletta ha pedalato verso il cielo, è stato uno dei miei tifosi più grandi, vorrei dedicare a lui questa mia testimonianza.