NON È MAI UN GIORNO PERSO IL GIORNO IN CUI SÌ È DONATO UN SORRISO

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Quest’anno abbiamo portato elettrodomestici per la cucina in reparto che le famiglie utilizzano durante i ricoveri, abbiamo portato un freezer che viene costantemente rifornito di ghiaccioli per la crioterapia, abbiamo portato tantissimi kit di accoglienza pieni di giochi e materiale scolastico, per aiutare i più piccoli a partire con la scuola anche in ospedale. Abbiamo portato doni per tutti i momenti di tristezza e per quelli di festa trascorsi in ospedale, abbiamo portato libri e stiamo sostenendo un progetto di realtà virtuale per creare momenti di evasione e alleggerire la mente dall’ansia, dedicato ai più piccini.
Abbiamo sostenuto una campagna di sensibilizzazione nazionale sui sarcomi promossa da Paola Gonzato Trust – Rete Sarcoma per chiedere il registro dei i tumori rari e dato un importante contributo alla ricerca pediatrica, raccogliendo fondi per la corsa solidale “Io corro per loro” promossa da FIAGOP.
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OSSI DURI – La storia di Mario

Per gentile concessione di Mario

Ciao, mi chiamo Mario. Nel maggio del 2011 iniziai a sentire un fastidio alla spalla destra, una sorta di infiammazione, mi faceva male fare determinati movimenti col braccio. Cercai di curare inizialmente tramite terapia fisioterapica. Dopo quasi un mese, nel quale il dolore mutava ma non spariva, decisi di fare una risonanza magnetica che sotto consiglio del mio fisioterapista, portai a vedere da un chirurgo della spalla. Dalla risonanza risultò che c’era una macchia all’acromion (parte della scapola), il chirurgo capì subito che poteva essere qualcosa di preoccupante e mi indirizzò presso la chirurgia oncologia del Pascale di Napoli. Dopo la biopsia, dato l’esito anomalo che non fece molta chiarezza su ciò che c’era nell’osso, lì al Pascale, mi sottoposi ad un curettage (pulizia dell’osso) e quindi a esame istologico.

Nel settembre del 2011 mi fu diagnosticato un tumore delle ossa. La prima cosa che pensai fu: “proprio a me?” In ospedale però mi resi conto che non ero solo: tante persone come me si trovavano ad affrontare situazioni simili se non peggiori, in un certo senso, ero anche fortunato. Dagli esami comunque, sembrava un tumore dei tessuti molli, quindi decisero di sottopormi subito a una PET total body per scongiurare che quella fosse già una metastasi. Quello è stato il momento più preoccupante che ho vissuto. Ho atteso per due giorni l’esito di quell’esame davvero con tanta paura. Fortunatamente la PET fu negativa e quindi quello trovato alla spalla, seppur ancora da definire, fu diagnosticato come un tumore delle ossa. Il Pascale di Napoli fece esaminare i vetrini anche al Gaetano Pini di Milano, io privatamente riuscii addirittura a farli esaminare da un anamopatologo in America, Dr. Unni che aveva lavorato alla Mayo Clinic e contemporaneamente fissai anche un incontro al Rizzoli di Bologna.

Tutti al termine di questa indagine erano d’accordo che il mio tumore “a cellule fusate” poteva essere curato come un osteosarcoma. Nel frattempo, scelsi di farmi curare al Rizzoli di Bologna che rispetto al Pascale di Napoli ebbe un approccio più duro e deciso senza alcun tipo di esitazione: “Si trattava di un male cattivo e noi potevamo solo essere ancora più cattivi”. Il protocollo prevedeva 4 cicli di chemio terapia, la resezione totale dell’osso, e altri 12 cicli (che poi per un esame post operatorio divennero 16). Ho iniziato a ottobre 2011, operato a gennaio 2012 e terminato l’ultimo ciclo a settembre 2012.

È stato un anno affrontato come ho sempre fatto nello sport, con determinazione e voglia di mettermi alla prova. Come una vera e propria sfida contro la malattia e chiunque mi avesse distratto dalla lotta. Non mi sono mai assolutamente vergognato del mio aspetto, neanche quando ho perso i capelli, non mi sono perso mai d’animo ma soprattutto, ho sempre vissuto come se non fossi malato, certamente con tutti i disagi che una cura simile comporta, ma sempre come se nulla di tutto ciò mi stava accadendo. In alcuni casi, ammetto, anche esagerando. Ho trascorso tranquillamente sia Natale che Pasqua in ospedale, felice di andare avanti con i cicli, e non sospendere o rallentare il mio percorso. Ho sempre pensato che sarebbe stata una parentesi della mia vita.

Durante le cure, ho fatto un master in management sportivo e riorganizzato la vita a Milano, città dove avrei voluto costruire il mio futuro. Ho ripreso subito, anche qui esagerando, a fare sport. Non chiaramente a livello agonistico come fino al 2010, ma comunque ad un livello eccessivo per quello che il mio fisico aveva subito in quell’ultimo anno. Sono convinto fosse stato per un sentimento di riscatto e di voglia di vivere che in realtà non mi ha mai abbandonato ma che era latente, in attesa del via ufficiale. Oggi non salto mai il mio controllo di routine che da trimestrale è diventato annuale. Cerco di aiutare chiunque si trovi nella situazione in cui mi sono trovato io, con degli amici abbiamo creato un’associazione con la quale organizziamo eventi sportivi il cui incasso viene devoluto alla ricerca contro il cancro e all’assistenza dei malati di cancro. Vivo felicemente a Milano, sono sposato con Sara, abbiamo una bambina di 18 mesi che si chiama Anna e siamo in attesa della seconda che si chiamerà Alba.

OSSI DURI – La storia di Giuliana

Per gentile concessione di Giuliana

Ciao, mi chiamo Giuliana e sono qui per raccontarvi la mia storia. Sono passati ventidue anni dalla scoperta della mia malattia. Avevo cominciato da qualche mese le superiori ed ero entusiasta. Non sapevo che quelli sarebbero stati gli anni più duri della mia vita, costellati da ricoveri, interventi, chemioterapia, ma anche quelli più importanti perché hanno plasmato il mio carattere dolce, sensibile, a volte insicuro ma tanto tanto forte. Cominciai a sentire dolore al ginocchio, un dolore che non andò via con gli antinfiammatori. Il 30 novembre 2000 andai a fare le lastre e da lì cominciò tutto: ricordo ancora l’immagine dell’rx che mostrava due macchie sul ginocchio. Il radiologo mi fece uscire per parlare con mia madre ed io cominciai a sospettare qualcosa. Il giorno dopo, andai da un ortopedico della mia zona che, coincidenza, lavorava nell’equipe del prof. Mercuri. Gli telefonò immediatamente: “parlo di una ragazzina di 14 anni”, le sue parole ribadivano l’urgenza. Lunedì 4 dicembre fui ricoverata d’urgenza al Rizzoli. Il 7 dicembre la biopsia che mi presento il coinquilino: OSTEOSARCOMA OSTEOBLASTICO DI IV GRADO, sospetto metastasi polmonari. Il 18 dicembre iniziai la chemio. Sono dimagrita tanto e spesso mi ricoveravano per trasfusioni.

La cosa più pesante da affrontare è stata la perdita dei capelli. Ad aprile l’intervento contemporaneamente alla gamba e ai polmoni. Non è stato facile. Ho continuato la chemioterapia che mi ha regalato una bella infezione alla protesi, un’infezione rara perché era da fungo e non da batterio. L’infezione mi portò a due pulizie chirurgiche a distanza di un mese l’una dall’altra ma non mi abbandonò. Intanto fui costretta ad interrompere i cicli di chemio. Quando tornai a scuola, ero alla fine del secondo superiore. Prima di scoprire la malattia, avevo conosciuto un ragazzo che ebbe il coraggio o l’incoscienza, di restarmi accanto per tutto il percorso, oggi è mio marito. Frequentavo il terzo anno quando scoprii di essere incinta. Affrontai serenamente la gravidanza continuando la scuola. A 18 anni mi sposai a tre mesi dal matrimonio, subii un altro intervento chirurgico ai polmoni, andò bene. All’inizio dell’ultimo anno, si ruppe lo stelo della protesi e tornai in ospedale per l’ennesimo intervento. I medici colsero l’occasione per curarmi l’infezione con la quale convivevo da anni: tolsero completamente la protesi lasciandomi cinque mesi con uno spaziatore in cemento e un tutore in resina. Fui costretta a ritirarmi da scuola. Non mi arresi: continuai a studiare per conto mio e mi presentai all’esame di stato da privatista, stampelle e tutore. Risultato: 97/100.

Ero orgogliosa di me!

Alla fine delle superiori ero mamma, sposata e diplomata, nonostante tutto, ma avevo ancora tanto da affrontare. Altri due interventi sulla protesi. Il mio non è stato un percorso facile ma sono qui, vivo una vita normale, faccio molto più di quello che dovrei, certo non posso correre, saltare, andare in bici ma posso comunque gioire della vita e delle cose belle che mi ha dato. Ho tre figli, una bella famiglia e tanti sogni da realizzare.

Continuo a lottare sicura di farcela perché noi “ossi duri” abbiamo vinto contro un nemico che non ha eguali. Siamo qui per dare speranza a chi combatte oggi. Non arrendetevi mai perché la vita sa regalare momenti meravigliosi che vissuti da chi ha camminato su un filo, senza certezza del futuro ma solo nella speranza, sono ancora più preziosi. Spero che la mia storia possa esservi di aiuto.

OSSI DURI – La storia di Nicola

Per gentile concessione di Nicola

Mi chiamo Nicola e ho avuto un osteosarcoma al piatto tibiale destro quando avevo 15 anni. Quando scopri la malattia a quell’età, il mondo sembra crollarti addosso. In realtà, lottando con coraggio e grazie al sostegno dei familiari, degli amici e di dottori fantastici, infermieri e OSS della Clinica 3, la mia vita è ricominciata.

Oggi ho 47 anni, una famiglia, una moglie eccezionale, i miei due cani e un lavoro. Sono felice ogni giorno di essere qui. C’è una scena che mai dimenticherò: appena mi diedero la notizia ero distrutto poi, durante il periodo trascorso in ospedale, ho conosciuto persone splendide ma soprattutto ho visto che ci sono persone più sfortunate di me, specialmente nel reparto pediatrico. Quella è stata la molla che ha fatto scattare in me la voglia di non arrendermi ed ora sono felice.

A tutti voi dico: non mollate, la vita continua e vi regalerà sempre soddisfazioni! Forza! Siamo e saremo sempre al vostro fianco! Un grande in bocca al lupo!

OSSI DURI – La storia di Maria

Per gentile concessione di Maria

Ciao, mi chiamo Maria. Vi racconto la mia storia. Non avrei mai pensato di bloccare la mia vita per un anno e mezzo, di essere costretta ad andare lontano per rinascere. Tredici anni fa sono rinata. Era il 9 marzo 2009 quando un ricovero d’urgenza all’ Istituto Ortopedico Rizzoli di Bologna mi portò dopo qualche giorno una bruttissima notizia. Non sapevo fino a quel momento cosa fosse la parola OSTEOSARCOMA, non sapevo dell’esistenza dei tumori ossei.

Ricordo benissimo quei giorni, tante visite, tanti controlli e nel giro di pochissimi giorni mi sono ritrovata a dover affrontare un percorso duro e in salita: la chemioterapia. Mi sono vista cambiare, improvvisamente dimagrire, i miei capelli sparire, però le mie ciglia e sopracciglia non si sono mai mosse da lì, sono state il simbolo della mia forza, nemmeno loro si volevano arrendere. Ricordo i giorni prima dell’intervento, tutte le migliaia di raccomandazione per il post operazione, ricordo la frase “dobbiamo ricostruirti il ginocchio, un pezzo di tibia e di femore, non potrai più correre, ballare, saltare, indossare i tacchi, stare in piedi più di 15 minuti consecutivi (su questo punto non prendetemi come esempio perché, togliendo il correre e saltare, che non ricordo nemmeno più come si fa, tutto il resto lo faccio). Per me che praticavo danza e pallavolo è stato un trauma. Però ho affrontato l’intervento con il buon proposito che “lui” sarebbe sparito dalla mia vita.

Durante quel percorso di vita, ho conosciuto persone meravigliose, dai compagni di avventura a tutto il personale medico e infermieri, non solo di Bologna ma anche la parte più umanitaria di Alghero, parlo del centro trasfusionale. Ora sono qui a raccontare la mia vita, tredici anni dopo la mia vittoria, perché voglio portare un messaggio positivo a tutti coloro che stanno lottando. Per i medici dovrei stare ferma secca e pesta in un angolo, invece no io vi faccio divertire, trasmettendo il mio entusiasmo e la mia passione che mi ha salvata durante quel periodo.

Spero di poter essere un esempio per tutti coloro che si arrendono al primo ostacolo, perché, nonostante tutt’ora abbia dei crolli e delusioni, trovo sempre la forza di rialzarmi e lottare. Grazie a quell’esperienza, ho imparato a lottare per i miei obiettivi che, allora, era la lotta per la vita, oggi è diventata la lotta per realizzare me stessa al 100%”!Non mi resta che dire “IO SONO ANCORA QUA”.

PIANTIAMO UN MELOGRANO

Un melograno è stato messo a dimora nel Parco Mozart del comune di Conegliano in Veneto.

Finalmente, con il sole, abbiamo potuto portare un ulteriore contributo alla campagna di sensibilizzazione lanciata da Fiagop Onlus, in occasione della giornata mondiale contro i tumori infantili che si celebra il 15 febbraio.

Il melograno è stato scelto perché il frutto, la melagrana, con i suoi semi (arilli) simboleggia l’unione terapeutica fra personale sanitario, associazioni di familiari e istituzioni necessaria per sconfiggere il cancro infantile.

Grazie al comune di Conegliano per avere accolto la nostra richiesta e ai nostri soci veneti Franca, Umberto, Marco, Sara. Un bacio lassù a Eleonora e Margherita 🧡

PRENDI, LEGGI E PORTA VIA

58 libri di 58 autori che hanno donato le loro opere accompagnate da messaggi di incoraggiamento per i pazienti in lotta nel reparto di osteoncologia dell’Istituto Ortopedico Rizzoli.

Il progetto “Prendi, Leggi e Porta via” consiste nell’inserimento in corsia di libri che il paziente può consultare e, secondo i gusti, decidere di portare in stanza o a casa. A fine lettura, ogni lettore avrà la possibilità di mettersi in contatto con l’autore per ogni domanda o semplicemente per una chiacchierata. Il progetto nasce grazie alla collaborazione con il blog Amabili Letture che da tempo ci sostiene nelle nostre campagne di sensibilizzazione. Sappiamo che i pazienti oncologici vivono una situazione di grande fragilità emotiva e che il libro potrebbe non essere letto o il paziente potrebbe non avere il desiderio di approfondire oltre ma speriamo di portare un ulteriore stimolo, un’ulteriore possibilità di agganciarsi al qui e ora e di uscire anche solo per poco dai pensieri più cupi.

Il progetto è dedicato soprattutto agli adolescenti, anche se non manca qualche lettura per i più piccoli e ovviamente è fruibile anche dai pazienti più adulti. Con piacere vi presentiamo l’elenco dei titoli:

L’astronauta dal cuore di stagno – Massimo Algarotti

Il piccolo Dragosh e il grande aquilone – Carlo Picca

Il ragazzo delle api – Cristiano Pedrini

Il club delle ossessioni – Elisa Mura

La principessa scoreggiona – Laura Castellani

Mamma pasticciona – Laura Castellani

La fattoria della libertà – Laura Castellani

I doni del Tuath – Ingrid Rivi

Portami con te – Ingrid Rivi

Io e te prima di Natale – Ingrid Rivi

La mia anima letteraria – Gabriele Martis

Il tempo che mi serve – Margherita Meloni

Bimbaluna – Nadia Maletta

Le ali di Silvia – Mariadora Vizza

L’anarchia dei punti di vista – Massimo Algarotti

Il portatore – Simona Lapucci

Gli spettri del passato – Simona Lapucci

Semplicemente Gio – Erika Lenti

Anima e cuore – Simona La Corte

La mia vita durata 100 anni, scritta a 42, finita di scrivere a 43 – Federico Fabbri

Controluce – Rita Scarpelli

Maria per la libertà – Amalia Frontali

Le lettere mai scritte – Amalia Frontali

Il ciclo di Rexan – Maurizio Toscano

Legàmi – Ilaria Ferraro e Simona Di Iorio

New York 1941. Forse – Luca Giribone

Empatia – Iris Bonetti

Noi 2 per caso – Marta Arvati

Lento Inafferrabile – Marta Arvati

I guerrieri d’argento – Elvio Ravasio

Altèra – Elvio Ravasio

Ombre dal passato – Elvio Ravasio

La forza della gazzella – Carmen Vasquez Vigo e Alessandra Manfredi

Charlie e l’ocarina – Francesca Fialdini

L’inganno del cuore – Ledra

Una scrittrice in carriera – Ledra

Nel tunnel di Sarajevo – Giano Sirov

Marta e Kin, salvare la terra! – Nicola Bennati

Blue Room Hotel – Roberto Monti

Il viaggio più bello – Alex Bellini

Una nota nel cuore – Ilaria Mossa

La coscienza di Cain, Il fattore scatenante – Costance S.

La coscienza di Cain, Il patto – Costance S.

Le fantafiabe di Chiara – Chiara Romanello

Il bosco delle more di gelso – Filippo Mammoli

QUI GHIACCIOLI PER TUTTI

Ghiaccioli ed elettrodomestici vari al Rizzoli di Bologna.

Finalmente è arrivato in consegna un dono speciale: un freezer che verrà costantemente rifornito di ghiaccioli, grazie alla meravigliosa generosità dell’azienda Ghiaccioli Pinotto e vari altri elettrodomestici al cui acquisto ha contribuito il formidabile Lyons Club di Zola Predosa.

Il ghiaccio è di uso comune nelle infusioni dei chemioterapici ad alto dosaggio e aiuta a ridurre le mucositi generate dal farmaco. Con i ghiaccioli cercheremo di rendere più dolci e accettate le terapie per tutti, grandi e piccini.

Anche oggi la nostra goccia nell’oceano è stata portata!

Grazie di cuore.

OSSI DURI – La storia di Valentina

Mi chiamo Valentina, ho 45 anni e non mi sento tanto un osso duro.

Avevo 22 anni quando da un giorno all’altro, mi sono ritrovata dalle aule studio della facoltà di medicina che frequentavo alla fine del secondo anno, ad una stanza bianca del Rizzoli, pochi giorni dopo la morte del dott. Campanacci, quando il dolore per la sua scomparsa era evidente da ogni parola proferita da tutti quelli che lavoravano lì.

Una diagnosi importante, un osteosarcoma. Ne sapevo abbastanza per capire che era grave, non abbastanza per capire cosa mi aspettava.

Gavina, 27 anni, una compagna di stanza che mi ha accolta, la mia roccia, quella che mi ha dato la forza di capire e affrontare a muso duro.

Rita, 15 anni, l’altra mia compagna di stanza con cui ho condiviso ansie e piccole gioie, con cui ho imparato ad ironizzare per andare avanti.

Lejla, la ragazzina quattordicenne adorabile, dolcissima che veniva dalla Jugoslavia, provata dalla guerra, che iniziava a parlare in italiano e a cui ho voluto subito un bene infinito, senza neanche capire bene cosa dicesse perché ancora non parlava benissimo la nostra lingua.

Giusy. Non l’ho più sentita dopo il ricovero ma ho saputo, anni più tardi, che non ce l’aveva fatta: aveva solo 13 anni quando è piombata nella nostra stanza con tutto il suo pianto, la sua disperazione e il suo rumore.

Oggi posso dire che comunque andranno a finire le cose, sono passati oltre 22 anni dalla diagnosi.

In ogni caso ho vinto ma non mi sento un eroe anzi, la mia sopravvivenza non è la mia vittoria, è la vittoria della scienza, di tutti quelli che prima ancora che arrivassi io hanno studiato una cura, per il dott. Donati che mi ha operata, per chi mi ha avuta in cura, ma di questa vittoria io non ho alcun merito: ho lasciato solo che la battaglia si combattesse su di me.

Vorrei dire che ho il merito, invece, di non aver lasciato spazio alla malattia di prendersi la mia vita e la mia speranza per il futuro ma non ho merito neanche in questo.

La forza con cui ho affrontato la brutta notizia l’ho presa da Gavina, io non l’avrei avuta.

Molti sanno che ho affrontato la chemioterapia coraggiosamente, senza lamentarmi troppo, ma pochi sanno che ho iniziato le cure diverse ore più tardi del previsto, perché volevo firmare il rifiuto e le dimissioni perché temevo di più gli effetti collaterali della mia malattia.

Ci sono volute tante e tante parole di medici ed infermieri PER convincermi a non lasciarmi andare ed oggi so che hanno fatto per me molto di più di quanto dovevano.

Molti sanno che sono stata in gamba perché anche durante la chemio ho continuato a studiare e l’esame di biochimica 2 l’ho addirittura sostenuto in reparto ed altri quattro esami durante la chemio, chiedendo alla commissione di raggiungermi, visto che io non potevo recarmi all’università.

Pochi sanno che volevo mollare gli studi, che di medicina, di malattie, sale operatorie e cattivi odori non ne volevo sapere più niente. Ci sono volute tante insistenze da parte dei miei genitori a non mollare, a non prendere decisioni affrettate in quel momento e il dott. Ferrari che fermò il giro visite, vedendomi piangere in panico pre-esame, per incoraggiarmi.

Le sue parole hanno risuonato, da quel giorno, il minuto prima di ogni esame che ho sostenuto.

La mano di un’altra dottoressa, credo la dottoressa Palmerini, forse era ancora una studentessa all’epoca non ricordo, che dopo il trenta e lode accarezzò la mia testa pelata, mi ha accompagnata dopo ogni successo, l’ho risentita.

Non si combatte da soli, io non ci sarei mai riuscita: è una battaglia che si combatte insieme. E’ complicato spiegarlo, niente avrei potuto senza la mia famiglia, i miei amici ed i nuovi conosciuti in reparto.

Oggi ho una famiglia, nata da una idea folle: pochi giorni dopo la fine della chemioterapia ho conosciuto Giorgio e ci siamo innamorati quando il futuro era scandito da tac ed esami di controllo.

Lui folle come me a sognare un futuro incerto ma insieme. Nostra figlia oggi ha 10 anni ed è una freccia velocissima lanciata nel futuro.

OSSI DURI – La storia di Serena

Mi chiamo Serena. Un giorno una persona mi disse: “non potevi avere nome più azzeccato!”

Per me fu il complimento più bello da ricevere. 

Sono nata nel pieno dell’inverno del 1988, il 12 gennaio. Io amo l’inverno.

Figlia unica, la più piccola, l’ultima arrivata in una famiglia bella numerosa, mamma, papà, nonni, zii, zie, cugine come sorelle. Diciamo una tribù le cui esistenze sono sempre e da sempre intrecciate le une alle altre. La classica famiglia che si collocherebbe al sud, ma in realtà è ligure DOC.

Nel 1991 l’intuito infallibile della mamma avvertì che qualcosa non la convinceva. Mi portò dal pediatra per un banale motivo di cui nemmeno conosco i dettagli e nel mentre, quasi in imbarazzo perché si sa le mamme sono sempre troppo apprensive, fece notare al pediatra che lamentavo un dolore al ginocchio destro e le sembrava che zoppicasse leggermente.

Avevo 3 anni. A 3 anni si corre e si cade, ci si arrampica e si cade, si salta e si cade. Insomma, le ginocchia sbucciate sono la normalità!

Ma il mio pediatra, non prese la mia mamma per una mamma “troppo apprensiva” e mi mandò subito uscita di lì all’ospedale a fare una radiografia.

Fatta la radiografia, il medico di turno stava guardando le lastre e nel mentre scriveva il referto. Stava scrivendo che la radiografia era pulita, non c’era nulla da preoccuparsi. Proprio in quel momento passò di lì il mio angelo custode, il Dottor Iacovacci, ortopedico all’Ospedale Valloria di Savona. Stava andando a casa dopo aver smontato il turno. Gli cadde l’occhio sulla mia radiografia appesa, si avvicinò e lì in quel momento lui lo vide e mi salvò la vita.

Osteosarcoma al femore distale destro.

Uscì lui, ormai in borghese, a parlare con i miei genitori. Si chiamano Franco e Anna, a quell’epoca avevano 31 e 29 anni.

Ci mandò immediatamente al Rizzoli, incontrarono subito il Professor Campanacci. Termini medici, percentuali, numeri, parole difficile da sentirsi dire, decisioni da prendere ancora più difficili. I miei genitori, i genitori sono i veri eroi nelle storie come la mia.

Mi sto dilungando parecchio chiedo scusa, ma credo che in effetti sia la prima volta che scrivo questa storia.

Feci la chemioterapia al Gaslini, vivendo a Celle Ligure. Il Rizzoli trovò la cosa più adeguata.

Nel frattempo, i miei genitori dovettero “scegliere” il tipo di operazione da farmi fare. Le opzioni erano due, non molte, ma già una di troppo per due giovani genitori che devono decidere per la vita della propria figlia ormai diventata quattrenne.

Amputazione totale o Giroplastica.

Che nome strano Giroplastica!

Era un intervento relativamente nuovo che mi avrebbe permesso di mantenere una mia articolazione modificandone, diciamo così, la morfologia. Impattante alla vista ma i medici sostenevano “tutta un’altra cosa” dal punto di vista funzionale.

I miei genitori incontrarono altri genitori con i figli che avevano subito questo intervento. E così decisero. Il 4 febbraio 1992 mi fecero l’intervento di Giroplastica. Non sto a spiegare le caratteristiche molto “originali” di questo intervento, ma chi vuole con una ricerca su Google trova tutto.

La storia va avanti, tra viaggi in ospedale, visite, controlli, io che cresco, le paure dei miei. E a mano a mano che gli anni passavano ciascuna di queste cose andava ad affievolirsi.

Sono guarita.

Oggi ho 34 anni, ne sono passati ben 30 da allora. Sono sposata con Fabio e abbiamo due gioielli che si chiamano Emilia e Giacomo di 6 e 4 anni. Ho il mio lavoro e conduco una vita totalmente normale.

In queste righe ho raccontato il dettaglio del mio percorso “clinico”, ma vorrei dedicare ancora qualche riga a descrivere tutto il contorno. La mia famiglia, in senso lato, l’enorme supporto che hanno dato ai miei genitori prima e a me dopo e insieme a loro anche gli amici. Insomma, io ho avuto la fortuna di avere intorno a me sincerità, verità e intelligenza. Sono sempre stata trattata alla pari degli altri, mi è sempre stato insegnata ad essere grata e fiera per la mia vita e mi è stata trasmessa, non a parole ma a fatti, la naturalezza di accettare il mio corpo così com’è.

Il giorno del mio matrimonio, in macchina verso la chiesa c’eravamo io mio papà e mio zio, il mio secondo padre. Mio zio in quel momento mi disse: “ti chiedo solo di avere sempre, nella vita, la stessa grinta che hai sempre dimostrato sin da quando eri piccola”. Ora mio zio non c’è più, in sella alla sua bicicletta ha pedalato verso il cielo, è stato uno dei miei tifosi più grandi, vorrei dedicare a lui questa mia testimonianza.